lunedì 26 novembre 2018

Resoconto incontro AC del 21/11/2018

Lunedì 21 novembre 2018 presso la parrocchia Immacolata si è svolto un incontro interparrocchiale sul tema «Azione Cattolica: una scelta per i laici in collaborazione con i pastori a servizio della Chiesa».
Un appuntamento pensato per rilanciare l'AC nel nostro paese, proponendo a tutti la scelta associativa, che ha visto purtroppo la partecipazione solo degli sparuti gruppi parrocchiali già esistenti, non so se per mancanza di interesse o perché organizzato in fretta e poco pubblicizzato.
Anche gli interventi dei relatori Antonio Colagrande (presidente diocesano Azione Cattolica) e don Giosy Mangialardi (assistente Unitario Azione Cattolica) sembravano diretti più ai già iscritti che a chi si avvicina per la prima volta all'AC.

In avvio dell'incontro il presidente Colagrande ha presentato il nuovo assistente don Giosy, subentrato a don Antonio Serio che dopo tanti anni al servizio dell'AC ha chiesto di tornare a fare il parroco per non essere identificato solo come «prete di AC».
A volte si corre il rischio di confondere le persone con il loro ruolo mentre in realtà quel che conta è il servizio all'interno della Chiesa. Ogni sacerdote nel suo percorso può essere chiamato a promuovere e accompagnare varie realtà associative o movimenti, ma non deve mai essere identificato con esse.
Anche l'Azione Cattolica deve svolgere il suo servizio all'interno della chiesa; non è bene che l'AC si identifichi con le persone che ne fanno parte.
Don Giosy ha ricordato che l'Azione Cattolica per statuto persegue il fine generale apostolico della Chiesa, in collaborazione con la gerarchia.
Prima id parlare di AC dobbiamo parlare di Chiesa.
L'Azione Cattolica senza Chiesa non esiste, la sua esistenza ha senso solo all'interno di un cammino ecclesiale. È solo una delle forme della Chiesa, non c'è esclusività.
Il fine è essere al servizio della Chiesa, non percorrere un cammino parallelo fine a se stesso o dedicarsi solo al proselitismo per far crescere numericamente l'associazione.
Nel passato il Consiglio Pastorale Parrocchiale coincideva con il Consiglio parrocchiale di AC e si tendeva a identificare l'AC con la parrocchia. Oggi in molte realtà l'AC è una minoranza e questo spesso è un bene perché si capisce che la Chiesa non è fatta solo dall'AC.
Siamo chiamati a fare parte della Chiesa, a essere in comunione con il nostro Vescovo, anche se talvolta non condividiamo tutti i suoi insegnamenti. Non è il proprio parere personale che conta e una molteplicità di pareri non fa la verità. Le opinioni personali sono soggettive, siamo chiamati ad andare verso il bene, seguendo gli insegnamenti della Chiesa, non a cercare di farlo a nostra immagine, secondo le nostre idee.
i due relatori hanno spesso citato nel corso dell'incontro  «La vocazione all'Azione Cattolica», libro del card. Anastasio Ballestrero, recentemente ristampato. Un testo datato, pubblicato per la prima volta nel 1976, ma ancora attuale e valido per lo sguardo sull'AC e i suoi insegnamenti su come vivere la nostra vocazione laicale.
Speriamo che il gesto di donarne una copia ad ogni parroco al termine dell'incontro ci aiuti a riscoprire questo testo all'interno delle nostre comunità parrocchiali.
L'Azione Cattolica è nata dalla volontà di camminare insieme per la stessa finalità. Non vive un cammino parallelo, vive il cammino della Chiesa.
La Chiesa promuove l'AC e nomina gli assistenti perché riconosce il ministero dei laici in comunione con il proprio vescovo.
I gruppi di AC non si scelgono, spesso si sta insieme anche a chi umanamente non ci piace, si impara a valorizzare i pregi e i difetti di ciascuno, a rispettare le differenze. Per questo è bene che il gruppo di Ac non coincida con il gruppo di amici perché altrimenti tende a chiudersi in se stesso, a diventare un ghetto chiuso nella propria esperienza associativa.
«Si entra nella comunità per essere felici, si rimane per fare felici gli altri», scriveva Mounier.
Al contrario non c'è Azione Cattolica se non c'è nessuna relazione, la capacità di reggere il confronto con l'altro.
Non serve dire di essere di AC, bisogna dimostrare con i fatti di esserlo, condividere quello che si vive, ricordare che il gruppo di AC non coincide con tutta la chiesa, che siamo solo una parte della Chiesa.
L'azione Cattolica in una parrocchia non deve mai considerarsi un gruppo privilegiato, ma anzi la sua presenza deve provocare un incremento di comunione, spingere anche le altre realtà ecclesiali a lavorare insieme, a essere più Chiesa.
La comunione ecclesiale è una parola, un concetto da riscoprire, spesso troppo usata e abusata.
Come cristiani dobbiamo guardare la nostra vita come vocazione e rifiutare l'individualismo che è spesso il male oscuro delle nostre comunità parrocchiali. Un'esasperata celebrazione dell'individuo che tenta laici e presbiteri e da cui è impossibile uscire da soli, soltanto insieme possiamo capire il nostro errore, capire che il male ci mette gli uni contro gli altri per dividerci e venirne fuori.
Aderire all'Azione Cattolica significa dire sì alla propria vocazione di cristiani con uno stile particolare proprio dell'associazione. Come associazione partecipiamo all'apostolato gerarchico, siamo chiamati a collaborare con la gerarchia in un rapporto di piena comunione e fiducia.
Non è un caso che il presidente riceva il mandato dal vescovo e ogni socio riceva la sua tessera dal parroco. La tessera simboleggia la nostra adesione a un cammino, il nostro dire sì a un momento di comunione.
Facciamo parte dell'Azione Cattolica non perché ci siamo scelti, ma perché Gesù ci ha scelti per vivere la nostra vocazione all'apostolato laicale, per essere cristiani nel mondo.
Essere coscienza sollecitante, coscienza profetica, aperti a guardare la realtà con gli occhi id Dio in una logica di comunione.
Ribadire il primato dell'essere cristiani da cui consegue il fare, ogni nostro impegno parrocchiale o civile.
Anni fa l'Azione Cattolica ha optato per la scelta religiosa, un cammino fatto di pazienza, disponibilità a vivere la parola di Dio e il proprio cammino sacramentale.
Spesso facciamo fatica a gestire i conflitti, ad accettare che ci possano essere difficoltà. Vorremmo l'AC come un'isola felice fuori dal mondo, senza problemi e senza la fatica di dover condividere il cammino anche con chi non ci siamo scelti, di accettare i conflitti e cercare di risolverli, trasformando il nostro percorso in un anello di collegamento tra le varie realtà ecclesiali.
Ribadita più volte anche la necessità di partecipare al cammino diocesano, fonte di arricchimento spirituale per il proprio cammino personale e comunitario.

Al termine dell'incontro di sono stati vari interventi e riflessioni, che provo a sintetizzare.
  1. Difficile superare le nostre diversità e gestire i conflitti
  2. Dobbiamo comprendere le motivazioni per cui aderire all'AC e evitare il rischio di essere autoreferenziali.
    Il vescovo nell'ultima visita pastorale invitò ad aderire all'AC come opportunità di apertura della parrocchia.
     
  3. È importante capire il progetto dell'AC e perché uno aderisce a questa associazione, valutare il suo modo di essere nella chiesa.
    C'è spesso un modo blando di affrontare le questioni, si dovrebbe essere più autentici , vicini alla Chiesa e nella Chiesa.
    Spesso c'è un Azione Cattolica fantasma nelle nostre parrocchie, poco presente e poco visibile.
    Occorre riscoprire la propria vocazione laicale.
  4. Dobbiamo imparare a coniugare apostolato gerarchico in parrocchia e impegno laicale a livello cittadino.
  5. Invocare lo Spirito Santo perché operi in noi, ci converta e ci aiuti a evangelizzare.
  6. AC è un'opportunità, la nostra identità deriva dal nostro cammino di fede.
    Spesso si dice «Voi dell'AC» dovete fare questo o quello, dire così, essere in un certo modo.
    A volte è una grossa responsabilità. Cosa altro si chiede ai laici?


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